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Tuber micologia

Tuber Micheli, 1729[1] è un genere di funghi dell'ordine Pezizales, famiglia Tuberaceae.

Al genere Tuber appartengono diverse specie di funghi ipogei comunemente chiamati tartufi, appartenenti alla famiglia Tuberaceae, classe degli Ascomiceti. I tartufi hanno corpo fruttifero ipogeo, ovvero sotterraneo, e crescono spontaneamente nel terreno accanto alle radici di alcuni alberi o arbusti, in particolare querce e lecci, con i quali stabiliscono un rapporto simbiotico (micorriza).

Comunemente per tartufo si intende il solo corpo fruttifero ipogeo che viene individuato con l'aiuto di cani e raccolto a mano. Il tartufo è un alimento estremamente pregiato e ricercato, molto costoso. Il tipico profumo penetrante e persistente si sviluppa solo a maturazione avvenuta e ha lo scopo di attirare gli animali selvatici (maiale, cinghiale, tasso, ghiro, volpe), nonostante la copertura di terra, per spargere le spore contenute e perpetuare la specie.

Sotto la denominazione di tartufo vengono ricomprese comunemente anche le terfezie, genere della famiglia Terfeziaceae, detti anchetartufi del deserto. Sono endemici di aree desertiche e semi-desertiche dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, dove sono molto apprezzati.

La scienza che studia i tartufi si chiama idnologia e deriva dal greco á½•δνον, hýdnon.

Storia del Tartufo

Il termine "tartufo"

L'origine della parola tartufo fu per molto tempo dibattuta dai linguisti, che dopo secoli di incertezze giunsero alla conclusione, ritenuta probabile ma non definitiva, che tartufo derivasse da territùfru, volgarizzazione del tardo latino terrae tufer (escrescenza della terra), dove tufer sarebbe usato al posto di tuber (vedi Dizionario Italiano Sabatini-Coletti, Giunti, Firenze 1999). Anche se, in effetti, i latini chiamavano questo fungo terrae tuber, l'etimologia proposta appare forzata.[senza fonte] Recentemente, lo storico Giordano Berti, creatore dell'Archivio Storico del Tartufo, ha dimostrato in modo convincente che il termine tartufo deriva da terra tufule tubera.[2] Questo titolo appare in testa ad un'illustrazione della raccolta del tartufo contenuta nel Tacuinum sanitatis, codice miniato a contenuto naturalistico risalente al XIV secolo, conosciuto in diverse versioni. Il termine tartufo nasce quindi, secondo Berti, dalla somiglianza che nel Medioevo si ravvisava tra questo fungo ipogeo e il tufo, pietra porosa tipica dell'Italia centrale. Il termine si contrasse poi in terra tufide e nei dialettali tartùfola, trìfula, tréffla, trìfola. Il termine tartufo cominciò a diffondersi in Italia nel Seicento, ma nel frattempo la dizione volgare era già emigrata in altri paesi d'Europa assumendo varie dizioni: truffe in Francia, Trüffel in Germania, truffle in Inghilterra.

Il mondo antico

Le prime notizie certe sul tartufo compaiono nella Naturalis Historia, di Plinio il Vecchio. Nel I secolo d.C., grazie al filosofo greco Plutarco di Cheronea, si tramandò l'idea che il prezioso fungo nascesse dall'azione combinata dell'acqua, del calore e dei fulmini. Da qui trassero ispirazione vari poeti; uno di questi, Giovenale, spiegò che l'origine del prezioso fungo, a quell'epoca chiamato "tuber terrae", si deve ad un fulmine scagliato da Giove in prossimità di una quercia (albero ritenuto sacro al padre degli dèi). Poiché Giove era anche famoso per la sua prodigiosa attività sessuale, al tartufo da sempre si sono attribuite qualità afrodisiache. Scriveva il medico Galeno: "il tartufo è molto nutriente e può disporre della voluttà".

Il Medioevo e il Rinascimento

Tra gli autori rinascimentali degni di nota occorre citare almeno il medico umbro Alfonso Ceccarelli, il quale scrisse un libro sul tartufo, l'Opusculus de tuberis (1564), dove sono riassunte le opinioni di naturalisti greci e latini e vari aneddoti storici. Da questa lettura risulta che il tartufo è sempre stato cibo altamente apprezzato, soprattutto nelle mense di nobili ed alti prelati. Per alcuni, il suo aroma era una sorta di "quinta essenza" che provocava sull'essere umano un effetto estatico.

Una ricerca svolta da Raoul Molinari e Giordano Berti su cronache medievali e rinascimentali, testi corografici del Regno sabaudo, lettere di cronisti e viaggiatori sette e ottocenteschi, ha portato alla luce una straordinaria quantità di notizie che esaltano l'intero Monferrato (area che storicamente comprende il Casalese, l'Alessandrino occidentale, l'Acquese, l'Astigiano, le Langhe e il Roero) come luogo di produzione dei più eccellenti e profumati tartufi.

Tra i luoghi che fin dal Medioevo sono rinomati per la ricerca ed il commercio dei tartufi emergono in particolare due città: Casale Monferrato i cui tartufi, prima dell'annessione al Regno del Piemonte, erano destinati alla corte mantovana dei Gonzaga; Tortona, centro di rifornimento per i Visconti-Sforza di Milano.

La coltivazione

“Gli uomini più dotti hanno cercato di verificare il segreto, e pareva hanno scoperto il seme. Loro promesse, tuttavia, sono stati vani, e nessun impianto è stato mai seguito da un raccolto. Questa è forse bene, a uno dei grandi valori dei tartufi è il loro alto prezzo, forse sarebbero meno altamente stimato se fossero più vantaggiose “.

Tuttavia, il tartufo può essere coltivata. Già nel 1808, ci sono stati tentativi riusciti di coltivare tartufi, noti in francese come trufficulture . La gente aveva a lungo osservato che i tartufi sono stati sempre tra le radici di alcuni alberi, e nel 1808, Joseph Talon , da Apt ( dipartimento di Vaucluse ), nel sud della Francia , ebbe l’idea di seminare alcune ghiande raccolte ai piedi di querce che ospitano tartufi nel loro apparato radicale.

L’esperimento ha avuto successo: Anni dopo, i tartufi sono stati trovati nel terreno intorno agli alberi di quercia appena cresciuti. Nel 1847, Auguste Rousseau di Carpentras (in Vaucluse ) piantato 7 ettari (17 acri) di querce (di nuovo dalle ghiande trovate sul terreno attorno alla produzione di tartufo querce), e successivamente ha ottenuto grandi raccolti di tartufi. Ha ricevuto un premio alla fiera 1855 del mondo a Parigi .

Questi tentativi di successo sono stati accolti con entusiasmo nel sud della Francia, che possedeva i terreni calcarei dolci e secco, il caldo che i tartufi hanno bisogno di crescere. Nel fine del 19esimo secolo, un’epidemia di fillossera distrusse gran parte dei vigneti nel sud della Francia. Un’altra epidemia ha distrutto la maggior parte del bachi da seta anche lì, rendendo i campi di gelsi alberi inutili. Così, grandi appezzamenti di terreno sono stati liberati per la coltivazione dei tartufi. Migliaia di tartufo che producono alberi sono stati piantati, e la produzione ha raggiunto picchi di centinaia di tonnellate alla fine del 19 ° secolo. Nel 1890, vi erano 75.000 ettari (190.000 acri) di tartufo che producono alberi.

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